Dall’Antichità alla modernità con le sculture di Pablo Atchugarry “Citta Eterna, eterni Marmi”

(Roma, TcgNews) 22 maggio,-Scolpire il marmo è arte antica, ma Pablo Atchugarry attraverso le sue magnifiche opere d’arte contemporanea dimostra che il tempo è cambiato e che l’arte si è adattata. A rendere l’idea di questo non solo il titolo della mostra ma anche il luogo che la ospita, tra opere del passato si fa spazio la modernità di Atchugarry che si fonde tra i capolavori della classicità e del Rinascimento, custoditi nell’Urbe Romana.

Il Museo dei Fori Imperiali – Mercati di Traiano di Roma ospita la mostra “Pablo Atchugarry : Città Eterna, eterni marmi”, una importante retrospettiva dedicata allo scultore uruguayano e promossa dall’Assessorato alla Cultura e Turismo di Roma – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali,  dall’IILA – Istituto Italo-Latino Americano, Fundación Pablo Atchugarry e con il patrocinio dell’Ambasciata dell’Uruguay in Italia. Organizzazione di Visiva e servizi museali di Zètema Progetto Cultura.

Una rassegna di 40 opere esposte all’aperto, di cui dieci monumentali, scaturite nella quasi totalità da “quel” marmo di Carrara.
“Da 35 anni, io basicamente lavoro il marmo di Carrara, e dagli inizi ho sempre visto questo luogo (Museo dei Fori Imperiali) come un posto ideale per i miei lavori, per questo sono onorato di essere qui” così inizia la nostra intervista con Pablo Atchugarry, il quale ha voluto allestire e gestire personalmente la mostra, indicando ogni posizione per le sue opere, rimanendo così assieme agli addetti al lavoro tutta la notte, fino al posizionamento dell’ultima scultura.

Scoprire l’arte, nell’ intimo più nascosto e recondito del marmo di Carrara, è sapere ascoltare l’anima che ogni scultura cela nella sua forma che parla, ed è lo scultore ad ascoltare e a tradurre per noi, è un evidente richiamo a quell’uso dello statuario di Carrara che dalla Roma dei Cesari tocca il Rinascimento Michelangiolesco e si sofferma sul Barocco del Bernini per approdare ai nostri giorni con Pablo Atchugarry.

“Penso che i primi scultori sono i cavatori, quelli che estraggono il materiale dalle cave,  poi io non so, se sono io che scelgo questi blocchi o sono loro che scelgono me, ho sempre creduto in una corrispondenza tra noi, in un dialogo tra scultore e blocco, perché come diceva il grande Michelangelo: la scultura c’è già dentro al blocco… “ – aggiunge Atchugarry.

Le opere in mostra sono state scelte una ad una dall’artista, posizionate secondo il suo gusto e piacere nel rispetto dell’intorno che le accoglie, opere realizzate non solo in marmo di Carrara, ma anche in marmo rosa del Portogallo, in bronzo e in acciaio.

“Qui in questa mostra sono presenti delle opere che ripercorrono la mia storia da scultore, dalla prima, La lumiére / L’illuminazione 1979, ad una delle mie ultime opere in acciaio realizzata per questa mostra” – afferma l’artista.

Lei vive tra L’Italia e l’Uruguay, per scelta di vita e lavoro, ma questa vita divisa tra l’Europa e l’America viene in qualche modo riflessa nella sua arte, nelle sue sculture?

“Si, è una unione, che si divide in due mondi, in due culle diverse, attraverso l’Europa con l’Italia e attraverso l’America con l’Uruguay. Penso sempre all’unione di questi due mondi, spero anche che questo si rifletta nelle mie opere. Ad esempio posso dire che in America abbiamo una relazione dello spazio, del grande spazio, del vento, delle convivenze con gli elementi naturali molto forti ed in Europa, abbiamo una relazione con una cultura a molti strati, quello che provo sempre a rappresentare con le mie sculture è una unione tra questi due mondi, che fondendosi diventano scultura, arte”.

L’Expo è un punto di unione per molti mondi, sappiamo che lei ha fatto anche una scultura per il padiglione del suo paese, l’Uruguay, come nasce il suo apporto artistico per questa vetrina mondiale?

“Nasce come tutte le mie opere, applicando lo stesso principio. In questo caso, mi sono recato ad un vivaio è ho visto questa pianta secolare, un ulivo, completamente secco, morto, e sicuramente il  suo futuro era solo come legno da ardere, allora ho pensato che questa meraviglia della natura non poteva finire cosi. Quindi ho iniziato un lavoro di recupero e che tramite l’arte diventa scultura. Ho pensato che il qualche modo potevo recuperare la sua vita. In più, questo ulivo secolare veniva dalla Puglia, come sappiamo bene, in questi ultimi tempi una malattia  sta colpendo le piantagioni di ulivo, allora, questo era un modo di dare un segnale, un messaggio: l’uomo deve sempre di più alla natura, deve rispettarla e contemplarla per imparare da essa.

Le opere di Atchugarry dialogano tra di loro tracciando percorsi, senza sovrastare l’imponenza dello sfondo, si contestualizzano con esso in un unico concerto architettonico, così che la magia si perpetua attraverso dei  Marmi che ritrovano finalmente il loro spazio ottimale e l’immobilità del tempo.

La sua opera monumentale, come Il Grande angelo del 2006 può disperdere l’immagine di un fantasma nelle ipotetiche ali e in tal modo, avendo come sfondo le antiche arcate, accentua una palpabile vocazione aerea che sfugge a ogni costrizione spazio temporale la quale non può non essere ammirata.

L’artista ha voluto allestire anche uno spazio-atelier che lui stesso da settembre animerà con alcune visite guidate offerte al pubblico.

Allora, resta solo che cogliere un’occasione unica per un artista unico dei nostri tempi e visitare la mostra nella città capitale, Roma.

Di Elsy Aparicio | Roma Tcgnews.it
Foto: Roma Tcgnews.it

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