Al campo volo di Bresso sabato atterra il «Jova Beach Party»: la terza vita pop dello scalo. Attesi 70mila fan

Dopo il concerto sulla pista di Linate, nel 2019, un altro aeroporto milanese per Jovanotti: nel perimetro del piccolo scalo di Bresso, dove sono attesi circa 70 mila fan, tutto è pronto per lo spettacolo di sabato prossimo

Gli aerei spenti. Manco un ronzio. Il pratone, la pista lunga porta dritto al palco che ospiterà il party di fine estate di Jovanotti . Tutto sommato un déjà-vu. Settembre 2019, quella volta la spiaggia metropolitana di Lorenzo era l’aeroporto di Linate. L’assist arrivava dalla chiusura forzata dello scalo per i lavori di manutenzione. Sabato prossimo invece l’atterraggio sarà sui 20 ettari dell’area dell’aeroporto di Bresso.

Prima incursione. Lo scheletro del palco prende forma in quello che è un pezzo di storia della città, ormai a due passi dal centenario. Un luogo che è stato ed è tante cose in una. Intanto è stato un simbolo dell’era industriale, quando era lo scalo della Breda. Ma anche quello militare negli anni della Seconda guerra mondiale. Testamento delle bombe restano i due depositi perfettamente intatti delle armi da guerra. Aprile e ottobre 1944, piovevano per colpire il cuore della Falck a Sesto San Giovanni, l’Alfa al Portello, lo scalo merci di Lambrate e ovviamente la Breda. Ma qui ci sono anche i ricordi di voli storici. Quello di Manuel Rualdi (professione giornalista) che si tolse lo sfizio di partire per trasvolare il mondo fino all’Argentina. Soprattutto Francesco Agello, il Marcell Jacobs dell’aviazione, che nel 1934 sparò il record dei record di velocità con un idrovolante con motore a pistoni. Tuttora imbattuto. Morì 8 anni più tardi in uno scontro in un giorno di nebbia di quelli che oggi si contano sulle dita di una mano. Anzi il meteo pazzo di ultima generazione fra disastri. «Un’ora di volo persa si ferma tutto, mentre i costi galoppano», dice il presidente Giuseppe Ghisoni. Il boom del costo del carburante fa il resto. Ed è inutile dirlo.

Il muro umano di 70 mila ragazzi che sabato pomeriggio invaderà questi spazi sarà la seconda grande festa di massa all’aeroporto di Bresso. La prima fu di tutt’altro genere, esattamente dieci anni. Molto meno pop. Arrivò papa Ratzinger portandosi dietro, secondo stime empiriche, un milione di persone. Sembra assurdo: «Lasciarono macerie», ricordano qui.

Bresso è anche una scuola di volo, un club con un’ottantina di soci. «Dato stabile, si vola più o meno come negli ultimi anni — continua Ghisoni —. Una media di 5 mila ore di volo, non lontana dai record di 6 mila di inizio anni Duemila». C’è l’officina che cura le manutenzioni, il simulatore di volo, la scuola di specialità acrobatica. L’hangar sembra un museo. Eppure quei 22 aerei dell’Aero Club e un’altra cinquantina dei soci, riempiono i cieli ognuno con il suo passo più o meno felpato. Qui nascono nuovi piloti, primo passo verso il professionismo. Ma qui atterranno anche i turisti dall’estero, i vip che mettono piede in città. Vasco Rossi, Berrettini, Hamilton, Missoni, Banfi, Amanda Lear. E poi Marco Melandri che oltre a piegare con la moto nel tempo libero si diverte a guidare aerei. L’Aero Club continua ad essere una location tra le più usate per shooting di moda o per pubblicità. Il boom degli anni dei messaggi d’amore trascinati dagli aerei decollavano tutti da qui. «Ci sono stati anche momenti complicati. Confronto tra soci che sembravano riunioni del condominio. Ma va detto che è anche grazie a questo aeroporto che si è salvato il Parco Nord da possibile ondate edilizie», dice Ghisoni.

Ogni giorno da qui decollano i ragazzi, quelli a cui i genitori pagano i corsi utilizzando speciali finanziamenti. Prima virata a Niguarda e gli aerei saltano la città, aprendosi a business nuovi. C’è chi regala alla fidanzata un voucher per decollare. Oppure le gite di classe. «Verso la Normandia, Venezia, Elba: facciamo piccoli voli di gruppo». Venti minuti sei a Como, sorvoli le Grigne. Ora è tempo del pop. Le luci e il colori. «Sa la cosa buona? Almeno sfruttiamo questi giorni di lockdown per sistemare la mia vecchia biga, la torre di controllo dove ho lavorato 34 anni», dice Fabio De Ferrara. La memoria storica di questo angolo di città che vive con la testa all’insù. Verso il cielo di questa stanza che fra qualche giorno inizierà a ballare.

di Stefano Landi